La mia recensione a “Ascoltami elefante” – ed. Terre di Mezzo

Oggi ti presento la mia recensione a “Ascoltami elefante”: un libro che ho selezionato per il progetto nella scuola dell’infanzia che mi ha chiesto di lavorare sulle emozioni e i libri per i bambini.

Quindi parliamo di elefanti, topi e un po’ di lacrime. Ecco qui la mia recensione a  “Ascoltami elefante” – ed Terre di Mezzo.

Partiamo da un presupposto: nessun libro al mondo risolve un problema, un momento di difficoltà, uno stato emotivo. Altrimenti avremmo trovato la ricetta perfetta per ogni piccolo inciampo.

Questo è il motivo per il quale parliamo di libro_ponte di relazione; lo consideriamo uno strumento culturale prima di tutto e poi formativo per dare una suggestione, per aprire il dialogo, per familiarizzare (e quindi normalizzare) un’emozione.
In questo caso specifico parliamo di #tristezza.

L’elefante (già dalla copertina con le illustrazioni di @valeriovidali) ci appare di schiena, poi per quasi tutta la durata del libro è sdraiato, accovacciato, addirittura rannicchiato. Tutte posizioni che ci richiamano all’emozione della tristezza, capace di immobilizzarci lentamente e di impedirci di reagire.

Se poi ci aggiungiamo che l’elefante e lo sfondo delle pagine che lo ritraggono sono colorate di azzurro e blu, con qualche tratto di nero, il gioco è fatto: anche l’ambiente intorno a lui ci appare rabbuiato. Insomma, un’anima in pena, si direbbe dalle mie parti.

Ma cosa gli sarà successo? Non si sa e non lo sapremo per tutta la durata del libro. Sappiamo solo che gli animali della savana cercano, in un’improvvisa carrellata di proposte, di tirarlo fuori da lì, di farlo alzare, di dargli un motivo per essere felice. Sembrano quasi incapaci di accettare che il loro amico sia triste. Ti risuona come situazione?

Poi arriva quello che, nell’immaginario collettivo, è un disturbatore per antonomasia dell’elefante: un piccolo topolino.

E di che colore lo propone la genialità dell’illustratore? Di bianco. Lo vedi l’apparente contrasto? (foto n.5 del carosello). Grande-piccolo. Scuro-chiaro. Zitto-ciarliero. Di schiena-in primo piano.
Alla scontrosità dell’elefante abituato dagli altri animali ad essere “disturbato”, il topolino risponde con la sua semplicità: vorrei sedermi qui, a riposare. E qui succede qualcosa all’elefante: si incuriosisce di qualcuno che non è venuto a risolvergli un apparente problema. E si gira, iniziando un percorso di cambiamento. E’ il potere dello “stare con”, quante volte ne abbiamo già parlato?

Non è più l’elefante il protagonista, si scambiano i ruoli lui e il topolino. Ha perso una chiave e la strada di casa. Questa dichiarazione commuove l’elefante, che inizia a piangere. Le lacrime non finiscono mai, sono silenziose, sono liberatorie.
Nella magia della “simpatia muscolare” o dell’empatia, anche il topolino si lascia andare a un pianto liberatorio. Ma cosa succede di preciso? Eccolo lì il momento del cambiamento: l’elefante, liberato dalla sua tristezza GRAZIE alle lacrime, esce dall’ombra. Senti la potenza di questa frase? Non succede forse così anche a noi?

Va verso il topolino e lo prende in braccio. Appare la luna. I due si incamminano all’interno della savana alla ricerca della casa del topolino. E l’elefante gli chiede di raccontargli una storia. Ah, la narrazione quanto avvicina, quanto ci fa sentire insieme all’altro, quanto ci permette di creare ponti.

L’ultima immagine del libro è la luna a forma di chiave bianca. Va da sé che diventa la chiave di lettura di tutta l’avventura del nostro amico elefante. Trovare una possibile strada per uscire dalla propria ombra e riuscire così a rimettersi in cammino.

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